venerdì 22 luglio 2011

G8 10 anni dopo - un post post-politico venato di ricordi imprecisi e massimalizzazioni








Sono passati 10 anni dal G8 di Genova. Di solito è una di quelle occasioni in cui tutti ne parlano, si fanno speciali, reportage, ci si fa sopra anche spettacolo. Invece non se ne è poi parlato molto, forse perchè sembrano passati molti più di 10 anni. Io mi ricordo il G8. Avevo 16 anni, e forse è stato uno dei primi eventi internazionali di cui ho una memoria vivida, in cui sentivo di avere una mia opinione su quello che stava accadendo, o almeno, una parvenza. Mi ricordo una sorta di trasporto condiviso, di coinvolgimento, un'indefinita speranza che qualcosa potesse scaturire da quel movimento. Anche se nessuno sapeva poi di preciso cosa. Mi ricordo un movimento trasversale, gente di tutte le età, ma soprattutto giovane, o almeno così lo percepivo, ed era strano perchè per qualche verso ricordava quei movimenti di decenni prima che ci erano stati raccontati in maniera quasi mitologica. Ed esisteva lì, proprio nel momento in cui avevo l'età in cui il trasporto verso i movimenti che ti fanno sentire ora-e-qui è massimo. Forse ne ero - ne eravamo - attratti soprattutto perchè la frase di Terry Pratchett "Date a un uomo qualcosa di nuovo in cui credere accompagnato da una bella divisa e sarà vostro per sempre" è sempre più vera mano a mano che si scende sotto i 30. E lì c'era sia una divisa, sia un qualcosa di nuovo in cui credere (anche se poi nuovo non era, aveva solo cambiato qualche nome e qualche parola d'ordine). C'era un'identità, ed è stato l'ultimo momento in cui l'identità percepita di una generazione sembrava essere un'identità politica. Quei giorni mi sembrano aver cambiato soprattutto questo. Da quei giorni in poi, qualunque ragazzo alla ricerca di un'identità difficilmente l'ha cercata in un movimento capace di unire sulle basi di una condivisione di obiettivi, o di speranze, per l'appunto, politiche. Non che non esista più alcun interesse per l'argomento, ma le proprie idee su certi sembrano essere diventate qualcosa di estremamente privato, e quando ti ritrovi a parlarne con qualcuno, hai quasi la sensazione che l'altro pensi che tu gli stia guardando nelle mutande.

Pensavo a questo, non sapevo se erano sensazioni solo mie o no, poi mi è capitato di leggere un'intervista alla persona che si nasconde dietro al gruppo I Cani, in cui parla della generazione '83-'92, e in cui, in particolare, parla delle occupazioni durante il liceo. Magari sembrerà una leggerezza accostare un movimento finito in quella maniera tragica con le "okkupazioni", ma alla fine nella loro stupidità, era proprio lì dentro che magari solo per sentirsi accettati ci si interessava di certi argomenti, e per la prima volta certi temi entravano nella tua vita.

Dice "I nati tra l’83 e l’89, a cui appartengo io, hanno vissuto i colpi di coda di queste occupazioni, di questo fenomeno in declino dal Sessantotto a oggi. Noi abbiamo l’idea di cosa significhi porsi come gente che vuole migliorare il mondo però non ci abbiamo mai creduto fino in fondo... E poi c’è la generazione di quelli nati tra l’89 e il 92, che invece sono quelli che non si sono neanche posti il problema. L’altro giorno sono andato a fare il fonico al Tasso, che è la scuola politicizzata di sinistra a Roma. È rimasto il farsi le canne. La cosa più politicizzata che ho visto erano le bandiere della Giamaica, tutto l’immaginario relativo alla ganja, però per quanto riguarda l’impegno politico zero."

E io mi ci riconosco, nel senso che forse non ci ho mai creduto veramente, sapevo che era poco più di un gioco sognare di far parte di una generazione che poteva cambiare il mondo, ma è un gioco a cui a una certa età è giusto giocare perchè anche se non farà evolvere il mondo, fa evolvere te.

E un pò mi spaventa chi non ha mai vissuto un periodo così, perchè un tipo come Churchill diceva "Chi non è di sinistra da giovane è senza cuore", ma secondo me la frase si può cambiare. Al posto di sinistra ci puoi mettere pure i rettiliani, basta avere un momento in cui capisci che la tua identità condivisa con altri può essere non solo i posti che frequenti la cosa che studi i libri che leggi e la musica che ascolti, ma anche la sensazione di far parte di un grande gruppo che vuole cambiare il mondo, in meglio. Anche se sotto sotto lo sai da subito che non ce la farà mai.

Trovate il resto dell'intervista al signor Cani, in cui dice anche cose molto più interessanti di queste, qui

Per ricordarsi un po' di cosa è successo 10 anni fa, qui






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